martedì 27 agosto 2019

Tecnica/2 - Shiho Nage (Proiezione delle Quattro Direzioni)


Come seconda tecnica, vi propongo "Shiho Nage", ovvero la "proiezione" (o "lancio", "nage") delle quattro direzioni ("Shiho"). Questa è una delle tecniche più caratteristiche del jujutsu e dell'aikido, anche se non figura nelle tecniche del judo e in alcuni sistemi di jujutsu (per esempio è assente dal Metodo Bianchi). Credo che questa assenza sia dovuta a preoccupazioni di sicurezza, giacchè la tecnica è facile da eseguire ma può potenzialmente causare lussazioni alla spalla o al braccio di uke se eseguita con violenza o imperizia. E' però sufficiente allentare la presa e rallentare l'esecuzione nella parte finale della tecnica perché i rischi siano davvero minimi.

La tecnica consiste nell'afferrare il polso di uke e, con un rapido movimento del corpo, realizzare una leva articolare polso-gomito-spalla e una condizione di squilibrio che ci consentono di proiettare l'avversario al suolo.

Talune scuole di jujutsu, ad esempio la Yoshin Ryu, hanno tecniche similari in cui uke scende "in ginocchio", il che, come vedremo, può avere senso. La tecnica è molto utilizzata anche nelle situazioni "hanza-handachi".
Le varianti di questa tecnica sono numerosissime e ci si potrebbero riempire molte pagine: si tratta di uno di quei casi, abbondanti nella tradizione nipponica, in cui lo studio ripetuto delle molteplici varianti schiude la porta a conoscenze tecniche molto vaste ed è assolutamente consigliato.



1. Zanshin (vedasi Ude Osae). Tori è sulla sinistra, mentre uke è sulla destra.


2. Uke tenta di afferrare entrambi i polsi di tori (attacco "ryote dori"). La tecnica può anche essere eseguita contro presa di polso semplice o contro attacchi tipo yokomen uchi (utilizzando una parata incrociata "juji uke").
Immediatamente prima che uke concretizzi la sua presa, tori dispone i palmi leggermente verso l'alto. Con una rotazione dei polsi, nell'esempio in figura, tori afferra con la mano destra il polso destro di uke e continuando la rotazione ne mette in torsione il braccio.


3. Tori esegue un passo avanti liberando completamente la sua mano destra e andando a instaurare una presa anche con la sua sinistra sul braccio destro di uke.


4. Ruotando il corpo di centottanta gradi, tori si trova in una posizione di forte vantaggio, squilibrando uke grazie alla leva articolare polso-braccio-gomito. Come nota, l'immagine in figura non è delle migliori giacchè tori si deve "inarcare" un poco, anziché rimanere con la schiena dritta. Questo è dovuto al fatto che uke è, nell'esempio in figura, più basso di tori. Shiho-nage è una delle poche tecniche la cui esecuzione è più semplice alle persone basse.


5. Tori viene proiettato a terra. In tutte le tecniche "nage" ("proiezione") uke viene lanciato al tappeto. Questa fase è particolarmente delicata e occorre allentare la presa per evitare incidenti.

6. La tecnica si può conludere con il semplice lancio di uke, o con il bloccaggio mostrato in figura. Non si tratta però di un bloccaggio estremante efficace, nel senso che, in una applicazione reale, un uke particolarmente agile e veloce può sfuggirne con una capriola all'indietro… anche se c'è da dire che in una applicazione reale della tecnica probabilmente si troverebbe la spalla lussata!

La versione URA di questa tecnica non è a mio avviso particolarmente "interessante" per lo scopo di questo blog, anche se va ovviamente praticata con diligenza e attenzione. Si tratta di eseguire la stessa tecnica "invertendo" però la direzione del movimento 3. In pratica si gira attorno verso schiena di uke anziché nella direzione del ventre. La posizione finale è identica.

A scopo didattico è utilissimo notare che questa tecnica prende spunto e ispirazione dal kenjutsu. Qui sotto la sequenza equivalente con le spade, che mostra come alcune strategie, gli spostamenti e le tecniche del jujutsu siano strettamente correlate all'arte della spada (cosa che, considerata l'importanze del kenjutsu per il samurai, non stupisce per nulla).


1. Zanshin. Come prima, uke sulla sinistra e tori sulla destra.

2. Uke attacca con shomen (colpo verticale alla testa), tori lo anticipa con una attaco di punta (tsuki). Questo corrisponde all'inversione della presa nella tecnica disarmata.

 3. Tori esegue un passo in direzione tangente all'attacco di uke e tagliandogli l'addome (analogamente al passo della tecnica disarmata)

4. Routa su se stesso tagliando la schiena di uke (anche questo movimento è analogo alla tecnica disarmata).

Le direzione in cui la spada di tori si muove sono quattro, il che dà il nome alla tecnica.

NOTE PER LA DIFESA PERSONALE

Shiho nage è una tecnica difficilissima per le applicazioni reali: richiede una presa salda e una grande velocità di esecuzione. Di contro, se correttamente applicata, consente di aver ragione di avversari ben più grossi e creare un danno devastante. Credo però che i rischi siano notevoli e il gioco non valga la candela.

INSEGNAMENTI ESSENZIALI

Questa tecnica ci insegna molte cose ma principalmente:

-  A convertire le prese dei polsi da svantaggiose a vantaggiose

- A lavorare con sicurezza "dentro" l'attacco di uke (anziché "fuori" come ude osae)

- A indivuduare il "kuzushi", ovvero lo squilibrio di uke.

lunedì 26 agosto 2019

Tecnica/1 - Ude Osae - (Controllo del Braccio)


Ho deciso di raccogliere su queste pagine i miei appunti su alcune azioni tipiche del jujutsu tradizionale, a beneficio mio e dei pochi lettori di questo blog. 
Non si tratta di un programma tecnico completo, ovviamente, che è giustamente sviluppato dalle singole scuole ed associazioni, ma solo di appunti di massima su alcune delle tecniche più classiche del jujutsu.
Le tecniche sono numerate al solo scopo di catalogazione e verranno presentate in ordine sparso, ma tenterò di seguire una logica di progressiva difficoltà di esecuzione (dalle più facili alla più difficili).

Iniziamo da "Ude Osae", ovvero il "controllo del braccio" (Osae=pressione/controllo, ude=braccio). Si tratta di una delle tecnica più classiche del jujutsu ed è presente in tutte le scuole e in molte altre arti marziali. Talvolta la si indica con il nome di Ikkyo ("primo principio") che ha preso nell'Aikido. Come nota storica, l'Aikido deriva direttamente dal Daito-Ryu Jujutsu (anche se questa discendenza è un po' indigesta ad alcuni praticanti di aikido, pertanto la terminologia è cambiata e talvolta si dice che l'aikido non derivi dal jujutsu ma dall'aiki-jujutsu o dall'aiki-jutsu). Questa tecnica, nel Daito-Ryu, è nota come Ippon-Dori (presa per un punto), prima tecnica della serie Ikkayo (e di qui "distillata" dal Maestro Ueshiba in "Ikkyo").

La tecnica viene qui presentata nell'esecuzione e nelle immagini di un video didattico del Daito-Ryu. Il Daito-Ryu è uno degli stili tradizionali meglio documentati. Secondo i discepoli della scuola, si tratta di uno stile che ha una storia pluricentenaria, ma dal punto di vista storico non ci sono molte informazioni antecedenti a Sokaku Takeda che può essere considerato il fondatore "moderno" della scuola.

Poichè questa è la prima tecnica che illustro, alcuni dettagli dell'esecuzione formale (per esempio lo zanshin o la separazione di uke e tori) vengono descritti in maniera più estesa. Alcuni termini già spiegati precedentemente verranno ripetuti per comodità, e abbandonati poi nelle descrizioni delle tecniche successive.


1. Zanshin: l'esecuzione formale delle tecniche parte sempre dalla condizione detta "zanshin" (spirito pronto) in cui tori (colui che esegue la tecnica e risulta vincitore nell'azione, sulla sinistra nella foto) e uke (colui che attacca e subisce la tecnica, e risulta perdente, sulla destra nella foto) si concentrano sull'azione da eseguire. Scopo dello zanshin è ottenere la corretta "presenza mentale" e la giusta percezione dello spazio.
La tecnica inizia normalmente con uke a circa due passi di distanza da tori. Con pochissime eccezioni, è uke a iniziare l'azione aggredendo tori: le tecniche del jujutsu sono (quasi sempre) difensive.

Molte scuole di arti marziali prescrivono una particolare posizione dei piedi (normalmente piede sinistro avanti, con la punta leggermente rivolta all'interno, il destro arretrato di mezzo passo ed aperto di circa sessanta gradi, gambe leggermente flesse - similmente alla posizione di uke nell'immagine sopra). La posizione iniziale reciproca dei piedi di uke e tori comporta leggere differenze nell'esecuzione della tecnica.
Differentemente da altre scuole, nel Daito-Ryu le azioni iniziano con tori in posizione neutrale (piedi paralleli).

Normalmente, nel jujutsu tradizionale non vengono prescritte particolari guardi (kamae): le braccia vengono normalmente tenute lungo il corpo (come tori nell'immagine sopra), o in avanti (come uke).
Una nota importante è la posizione delle mani. Alcune scuole tradizionali, in allenamento, usano le mani aperte allo scopo è quello di avere maggiore sensibilità e flessibilità nel movimento. Questo  però espone i praticanti al pericolo di slogature e rotture delle dita in certe azioni (in particolare contro attacchi violenti, per esempio di calcio). Tenere la mano aperta ha alcuni vantaggi didattici, ma in caso di difesa personale (o qualora l'attacco sia potenzialmente molto violento) è bene tenere il pugno chiuso, con il pollice ben serrato.


2. Shomen Uchi - Uke inizia l'azione attaccando tori con un ampio "shomen uchi" (colpo alla testa, dall'alto verso il basso), che viene parato a due mani (morote uke) da tori.
Nella versione omote (per dritto), tori riesce a bloccare sul nascere l'attacco di uke (come in figura), prima che la traiettoria diventi discendente.
Qualora tori si muova in ritardo, sarà impossibile bloccare l'attacco che andrà aggirato (tecnica ura - "per rovescio"). Il tempo della parata è fondamentale. Nel kendo (e nel karate) si parla di tre possibilità:
"sen" (anticipo totale: tori esegue la tenica prima che uke si sia mosso - questo nel jujutsu non si verifica quasi mai)
"sen-no-sen" (anticipo contro anticipo: tori inizia ad eseguire la tecnica non appena uke inizia il suo movimento di attacco)
"go-no-sen" (ritardo contro anticipo: tori inizia ad eseguire la difesa quando l'attacco di uke è pienamente sviluppato).

L'esecuzione omote di ude osae è un caso "sen-no-sen" e questo rende la tecnica piuttosto difficile per i principianti. Qualora si sia in ritardo occorre aggirare l'attacco con un movimento di "tenkan".
Al momento della parata è possibile colpire il costato di uke con un pugno. Come nota, alcune scuole di aikido usano la mano che ha parato all'altezza del gomito di uke mentre nel Daito-Ryu si usa la mano che ha parato l'avambraccio o il polso. A mio avviso la prima versione rende la presa più sicura (giacchè si mantiene la presa sul polso), mentre la seconda corrisponde alla possibilità di estrarre il wakizashi (spada corta) e colpire uke nell'incavo dell'ascella (zona normalmente non protetta dall'armatura) e ha motivi storici. In entrambi i casi si tratta di una tipica applicazione di atemi (colpo diretto) del jujutsu.


3. Ude-Osae - il cuore della tecnica. Con la presa a due mani sul braccio di uke si tratta di eseguire un movimento "a manovella" che porti il braccio di uke in una leva articolare. Ci sono molte varianti di questa leva (a seconda di come ci si muova durante l'esecuzione), ma, sebbene sia molto vantaggioso piegare il braccio di uke durante l'esecuzione, tutte le varianti terminano con il braccio uke teso.
Due punti importanti:
  • Si può esercitare la forza in maniera che uke carichi tutto il peso sulla gamba a noi più vicina (impedendogli di calciare)
  • La forza deve essere applicata in direzione "tangente" alla colonna vertebrale di uke. 


4. Mae Geri - calcio al costato. Questa è una parte opzionale della tecnica, che non è presente in molte varianti. Il fatto è che, per bloccare completamente uke, occorre fare un passo in avanti rispetto al punto (3). Questo passo può essere effettuato simultaneamente alla applicazione leva, che risulta ancora più vantaggiosa. Nell'esecuzione del Daito-ryu, si sfrutta questa occasione per colpire il costato di uke.


5. Uke è a questo punto bloccato a terra ed impossibilitato ad ogni reazione.


6. E' possibile approfittare della condizione di sottomissione di uke per colpirlo alla schiena con una gomitata. Come nota, molte scuole, comprese il Daito-Ryu, terminano alcune azioni con una mano in alto sopra la testa e con l'urlo "rituale" (kiai). Questo viene talvolta spacciato per gesto di concentrazione e zanshin in chiusura della tecnica, ma ha in realtà ragioni storiche: corrisponde all'estrazione della spada corta ed al taglio della schiena o della testa di uke.

Come nota, differentemente dal judo e da versioni moderne del jujutsu, nel jujutsu tradizionale le "immobilizzazioni" sono (quasi) esclusivamente con uke faccia a terra e tori in piedi o in ginocchio. Immobilizzazioni tipo kesa-gatame o similari (sebbene estremanente efficaci) non consentono di affrontare altri avversari e pertanto sono assenti dalle teniche tradizionali.


7. Zanshin - la presenza mentale dev'essere mantenuta anche al momento della conclusione della tecnica, e occorrer controllare uke (anche solo con lo sguardo) anche durante l'allontanamento. E' un punto importante e spesso trascurato.

8. Risoluzione - mantenendo l'attenzione reciproca, tori e uke si separano e ritornano nella posizione di partenza.

VERSIONE URA

Come spiegato nel post precedente, le tecniche di alcune scuole si presentano talvolta in due versioni: omote ("dritto", "verso l'esterno") e ura ("rovescio", "verso l'interno"). Spesse volte le versioni ura rappresentano le varianti da applicarsi nel caso la versione omote non sia applicabile o non abbia successo. In generale non descriverò tutte le varianti delle tecniche che presenterò, ma in questo caso l'eccezione è d'obbligo per consentire la corretta comprensione delle differenze fra tecniche ura e omote.

La tecnica presentata sopra è la versione OMOTE. Qui sotto una breve descrizione della versione URA:

1. Dopo lo zanshin, uke (questa volta sulla sinistra) attacca tori con shomen uchi.


2. Anziché anticipare la parata e bloccare l'attacco nella fase crescente, tori assorbe l'attacco di uke ruotando verso l'esterno dell'attacco e afferrando il suo braccio durante la discesa.


3. Rotazione di tori sul piede perno (tenkan) per assorbire l'attacco di uke


4. Applicazione iniziale della leva articolare per costringere uke al tappeto.


5. Leva articolare per immobilizzare uke.


6. Immobilizzazione di uke. Questo tipo di immobilizzazioni è tipico del jujutsu tradizionale, un cui si lavora mantenendosi possibilimente all'esterno dell'attacco e si è in grado di affrontare rapidamente altre minacce (al contrario delle immobilizzazioni classiche del judo, estremamente efficaci ma limitate all'uno contro uno).

7. Atemi "Tegatana" (mano come spada). In realtà il danno che si può provocare con un colpo col taglio della mano è minimo. Questo gestp, di solito, simboleggia la possibilie estrazione della spada corta (wakizashi, kodachi) o di un pugnale (tanto) e conseguentemente l'uccisione del nemico.

NOTE PER LA DIFESA PERSONALE

La difesa personale è uno degli scopi per cui alcune persone studiano il jujutsu. A mio avviso le tecniche del jujutsu tradizionale, pensate per la società dei samurai nel periodo Edo, non si sposano molto con le situazioni della vita moderna. Pertanto mi asterrò da considerazioni dettagliate sulla difesa personale, limitandomi a qualche breve cenno.
In questo contesto, Ude Osae riveste una qualche imprtanza, ma raramente l'applicazione sarà simile a quella della tenica formale. Per esempio, si può applicare ude osae se veniamo afferrati ad un bavero o ad una spalla, eseguendo, simultaneamente alla presa, un calcio all'inguine e/o un colpo al viso di tori. La versione ura è particolarmente efficace quando l'impeto dell'attacco è molto forte e non può essere contrastato altrimenti.

INSEGNAMENTI ESSENZIALI

Ude Osae è una tecnica dalle molteplici forme e varianti. Gli insegnamenti principali di questa tecnica sono:

- La gestione dell'attacco di uke in anticipo o in ritardo.

- La possibilità di utilizzare leve articolari molto vantaggiose per guidare uke o squilibrarlo.

- L'uso di atemi in continuità con l'azione di difesa.

venerdì 1 settembre 2017

Pensieri e parole...


NOTA: Riprendo questo blog dopo una lunga assenza...anche perché ho ricevuto alcune email di lettori che si sono dimostrati interessati a quanto ho scritto e raccolto. Alcuni hanno anche criticato le mie idee e...va benissimo! Lo scopo di questo blog è duplice: in primis serve a me come traccia di quanto ho imparato in molti anni di pratica (e di quel che rischio di perdere data la mancanza di tempo). In secundis, sarei contento se riuscissse a stimolare una discussione non dogmatica e non pregiudiziale sul jujutsu e sulle arti marziali giapponesi in generale. 

Come in tutte le discipline, il jujutsu ha una sua propria terminologia che ovviamente è in giapponese e può risultare un po' ostica. Questo post raccoglie un po' di terminologia ed alcuni principi base che, a mio avviso, è necessario padroneggiare per chi pratica il ju-jutsu.

Lei non sa chi sono io!

In molte arti orientali, l'apprendimento è basato sulla ripetizione di un modello, di una forma (kata in giapponese) che contiene, o dovrebbe contenere, l'essenza tecnica della disciplina.

Nel caso di arti come il karate, il kata prende la forma di una sorta di "balletto" in cui il praticante immagina di combattere contro avversari che lo circondano - replicando i movimenti del kata in ogni dettaglio e con la massima precisione.

Nel caso di arti come il judo o il jujutsu, dove il contatto con il corpo dell'avversario è necessario, il kata prende la forma di una "recita" in cui due praticanti "mettono in scena" una aggressione replicando i movimenti della tecnica da allenare.

Come è buona norma in ogni testo teatrale, introduciamo per prima cosa i due protagonisti della nostra rappresentazione: tori e uke

Tori - è colui che applica la tecnica.In linea generale (ma ci sono delle eccezioni) le tecniche di jujutsu si presentano come azioni di difesa contro una aggressione. Quindi tori è, generalmente, l'aggredito che risponderà applicando la tecnica e risulterà vincente nello scontro.

Uke - è invece colui che "riceve" la tecnica - tipicamente sarà anche l'aggressore e ovviamente risulterà perdente.

Come nota, esistono scuole in cui si insegnano anche tecniche di attacco diretto: in tali casi (relativamente rari) tori è sia l'aggressore che il vincitore dell'azione.
E' importante sottolineare che nello svolgimento della "recita" entrambi i praticanti dovranno avere cura dell'altrui incolumità - ma devono anche sforzarsi di eseguire le tecniche (e anche l'aggressione) con una giusta dose di intenzione e di realismo. L'attacco di uke deve essere ragionevolmente convinto e deciso e deve puntare al bersaglio. Tori deve eseguire la tecnica con la giusta forza e decisione, ma deve in primis preoccuparsi dell'incolumità di uke. Uke non deve necessariamente lasciarsi cadere o seguire l'esito della tecnica anche se mal eseguita...e via dicendo. 

Batti? Che fa ragioniere..mi da del tu? No "batti lei"...congiuntivo!!! 

Come dicevamo, nella tipica azione del ju-jutsu, uke "aggredisce" tori, che invece risponde applicando la tecnica che si sta studiando.

Tradizionalmente, l'etichetta imponeva che il samurai dovesse essere seduto in ginocchio in molte situazioni formali, conseguentemente la situazione di partenza di una aggressione poteva essere una delle seguenti:

Tachi waza (tecniche in piedi) - quando uke e tori sono entrambi in piedi all'inizio dell'aggressione.

Hanmi Hantachi Waza (o Hanza Handachi) - quando uke è seduto sulle ginocchia e tori è invece in piedi

Suwari waza (tecniche da seduti) - quando sia tori che uke sono entrambi seduti sulle ginocchia.

La seguente tabella riassume queste tre possibilità:

Val la pena aggiungere che, per noi occidentali che non siamo abituati a sedere sulle ginocchia, le teniche "da seduto" possono essere particolarmente dolorose per anche, ginocchia e caviglie. Molte scuole insegnano le tecniche di suwari waza sostenendo la loro importanza per la corretta comprensione delle versione "in piedi" delle tecniche analoghe, ma personalmente non trovo il nesso particolarmente chiaro. Nel caso di lotta a terra è improbabile riuscire a reagire con le tecniche proposte e le dinamiche del combattimento sono meglio rappresentate nel judo e nel brazilian jujitsu piuttosto che nel jujutsu tradizionale. 

Le "aggressioni" tipiche del jujutsu tadizionale sono ben rappresentate nella tavola qua sotto:
Qualche nota sulle aggressioni principali:

Katate Dori (presa al polso) -  Uke avanza di un passo e afferra tori per il polso. Si distigue in Ai-hanmi (uke e tori hanno la stessa gamba avanzata, per esempio la destra) o in Gyaku-hanmi in caso contrario. Con i canoni moderni, questa aggressione non sembra particolarmente minacciosa ma risponde ad una precisa esigenza storica, ovvero quella in cui tori vuole impedire ad uke di estrarre la spada. Si tratterebbe quindi di tecniche obsolete, se non fosse che studiare le tecniche a partire da questo genere di aggressione si rivela particolarmente efficace dal punto di vista didattico: si stabilisce un contatto fra uke e tori alla massima distanza possibile quindi gli spostamenti, i movimenti e le tecniche risultano "ingranditi" e più facili da assimilare.

Shomen Uchi (Colpo verticale alla testa) - Uke avanza e tenta di colpire tori alla testa con un movimento verticale dall'alto verso il basso con la mano. Molte tecniche del jujutsu tadizionale prendono le mosse da questa aggressione che simbolizza una attacco verticale di spada. Nella realtà moderna, questo tipo di movimento si presenta principalmente se l'avversario è armato di bastone o con un oggetto contundente. Per capire l'essenza e l'efficacia delle tecniche che iniziano con uno shomen uchi è importante tenere a mente l'analogia delle tecniche di spada (kenjutsu)

Yokomen Uchi (Colpo laterale alla tesa) - Uke avanza e tenta di colpire tori alla testa con un movimento diagonale. Come per lo shomen uchi, questa aggressione simbolizza un attacco di spada. Una applicazione pratica più contemporanea potrebbe sembrare quella degli attacchi di "gancio", ma si tratta di una analogia che funziona solo fino ad un certo punto - il movimento con la spada o con un bastone è molto più ampio.

Tsuki (pugno) - Uke avanza e tenta di colpire tori con un pugno rettilineo che parte dal fianco. Si distingue tipicamente in "chudan" (a "livello medio" - cioè torso ovvero stomaco e plesso solare) e "jodan" (a "livello alto" - alla testa o alla gola). Anche questo può sembrare un attacco utile in circostanze pratiche, ma occorre ricordare che anche queste tecniche simboleggiano un attacco di spada (di punta anziché di taglio). Raramente nella realtà si verrà aggrediti con un pugno precisamente rettilineo.

Geri (calcio) - Uke avanza e tenta di colpire tori con un calcio dritto allo stomaco o alle parti basse. L'assenza di una diretta analogia con in kenjutsu rende questa situazione simile ad alcune potenziali applicazioni pratica.

Ushiro dori (presa da dietro) - Uke aggira tori (che rimane fermo) e posizionatosi dietro di lui lo afferra. Esistono una serie di "prese da dietro", molte delle quali del disegno qui sopra. Si tratta di un esercizio assai utile per sviluppare la sensibilità dei praticanti, ma l'applicazione pratica diretta delle prese tradizionalmente proposte è scarsa.

Indipendentemente dall'aggressione, è ESSENZIALE che uke esegua l'attacco perseguendo il bersaglio con convinzione e decisione - altrimenti la rappresentazione diventa una farsa.

I Magnifici Sei

Molte scuole (più o meno) tradizionali di jujutsu dividono i movimenti fondamentali in sei gruppi, il cosiddetto "Jujutsu Rokku", ovvero i "Sei (tipi di tecnica) del Jujutsu". La cosa curiosa è che, sebbene molte scuole concordino sul fatto che i principi fondamentali siano sei, non c'è un generale accordo su quali siano. La classificazione più utilizzata è la seguente:
  1. Nage Waza (tecniche di proiezione) - Queste tecniche hanno lo scopo di proiettare l'avversario al tappeto, mediante sollevamenti, colpi d'anca, sgambetti e chi più ne ha più ne metta. Considerando le origini storiche del jujutsu è facile capire che questo gruppo di teniche sia particolarmente importante. La logica del jujutsu tradizionale era quella di fare cadere l'avversario in modo che egli ne ricevesse il massimo danno, ragion per cui alcune tecniche tradizionali non vengono più praticate o, se vengono eseguite, sono riservate agli adepti più esperti (e talvolta più "ginnici"). Le proiezioni venivano eseguite in modo che la caduta dell'avversario fosse quanto più scomposta possibile (cosa che ovviamente non è affatto salutare nella pratica moderna) e in modo che, in caso di caduta rotolata, uke finisse per dare le spalle a tori (per consentire a tori di estrarre la spada e finirlo).

  2. Gyaku Waza (tecniche di leva articolare), dette anche Kansetsu Waza - questo gruppo comprende tecniche in cui tori esercita una leva articolare su uke (tipicamente le braccia) con lo scopo di immobilizzarlo o controllarne i movimenti - fino all'estrema coseguenza della slogatura o della rottura dell'arto. Quando le tecniche vengono utilizzate specificamente per l'immobilizzazione dell'avversario, si usa talvolta il termine Osae Waza (tecniche di controllo/pressione). Ovviamente, nel corso dei secoli, sono state perfezionate tecniche di leva "vantaggiosa" per cui è possibile infliggere un forte dolore ad uke esercitando una forza relativamente bassa (e di qui viene il mito del jujutsu come arte adatta alle persone deboli). Spesso, le leve articolari sono applicate in punti particolarmente dolorosi e ancora oggi alcune finezze tecniche per incrementarne l'efficacia vengono custodite gelosamente. Val la pena ricordare in questa sede che, di preferenza, quando la leva viene utilizzata per immobilizzare l'avversario al tappeto questi viene guidato in posizione prona poichè è più facile da controllare, e rende possibile fronteggiare eventuali altri avversari. 

  3. Atemi waza (tecniche di colpo diretto) - Questo gruppo comprende calci, pugni, gomitate, ginocchiate et similia. Generalmente si divide in "ate waza" (colpi di mano) e "keri waza" (calci). L'importanza degli atemi nel jujutsu varia grandemente con lo stile particolare della scuola in esame. Si va da un utilizzo sporadico ad un impiego esteso e deciso. Storicamente, le scuole che derivano più direttamente dalle tecniche del combattimento in armatura sono quelle che utilizzano meno gli atemi, per l'ovvio motivo che, nel combattimento in armatura, non avevano molta efficacia. Invece le scuole sviluppatesi in periodi storici di relativa pace e le scuole più moderne ne fanno uso vastissimo (e talvolta persino esagerato). Tipicamente gli atemi hanno lo scopo di distrarre l'avversario o sbilanciarlo per preparare una tecnica di proiezione o di leva, oppure vengono usati per rompere l'equilibrio di una situazione neutrale, oppure ancora semplicemente per infliggere danno in punti che uke non è in grado di proteggere. Due particolarità del jujutsu sono la quasi totale assenza di calci alti (l'obiettivo abituale del calcio è il ventre o le costole fluttuanti) e l'utilizzo esteso del tegatana (la "mano spada" - ovvero lo shuto nella terminologia più diffusa del karate). Occorre ricordare però che in molti casi il tegatana è una simbolizzazione dell'estrazione della spada corta e di taglio con la medesima - ed è con questo significato che il tegatana chiude molte tecniche di varie scuole.

  4. Shime waza (tecniche di strangolamento) - Il jujutsu comprende un certo numero di tecniche di strangolamento, ma il loro numero e la loro importanza è generalmente collegata alla rilevanza che la particolare scuola attribuisce al combattimento a terra. Gli strangolamenti sono generalmente divisi in "sanguigni" (più lenti, in cui si riduce l'afflusso di sangue al cervello) e "respiratori" (più rapidi, in cui si riduce o si impedisce la normale respirazione). Il judo e sistemi di lotta come il Brazilian Ju Jitsu attribuiscono grande importanza alla lotta a terra e conseguentemente alle tecniche di strangolamento. L'importanza degli strangolamenti nelle scuole tradizionali è molto minore, giacchè le tecniche sul campo di battaglia esigevano rapidità di esecuzione e raramente la lotta era limitata all'uno contro uno.
  5. Ukemi waza (tecniche di caduta) - questo gruppo contiene tecniche specifiche tecniche di caduta e di rotolamento per attutire l'impatto col suolo durante la pratica. Elemento essenziale è la "battuta" (ovvero un violento schiaffo al terreno che ha lo scopo di aumentare la superficie di contatto ed impedire che l'impatto avvenga in un punto particolarmente vulnerabile). Rotolamenti e cadute sono studiate con lo scopo di proteggere i punti più deboli del corpo. La conoscenza di queste tecniche è necessaria per ridurre al minimo il rischio di incidenti.Va ricordato che durante la pratica, la sicurezza e la tutela della salute è l'obiettivo primario ed è responsabilità sia di uke che di tori.Va anche ricordato che le tecniche tradizionali contengono accorgimenti per rendere la caduta di uke il più rovinosa possibile...ed ovviamente vanno esclusi dalla pratica abituale.
  6. Kwatsu waza (rianimazione) - questo gruppo contiene varie tecniche che spaziano dalla rianimazione al pronto soccorso. Il gruppo conteneva anche tecniche per accertarsi rapidamente dell'avvenuto decesso dell'avversario (per esempio inserendo un dito nel suo ano).
    Alcune di queste tecniche sono basate sulla medicina tradizionale orientale e sono di dubbia efficacia. Andrebbero sostituite, a mio giudizio, con un corso, seppur breve, di Pronto Soccorso. Come scrivevo poco fa, la sicurezza e la salute dei praticanti è della massima importanza e ogni praticante di ogni palestra, club o associazione deve avere ben chiaro come comportarsi in caso di incidenti.
Come dicevo, non c'è un accordo universale su sei punti, e quelli riportati qui sopra non sono che quelli più frequentemente elencati. Ci sono scuole che considerano tecniche fondamentali le parate, le schivate e gli spostamenti, mentre altre comprendono tecniche specifiche su come arrestare o legare l'avversario (ovviamente si tratta di tecniche storiche e non applicabili all'autodifesa moderna), altre ancora mutano dal judo le tecniche di immobilizzazione note come "osae-komi waza" (alcune delle quali sono molto efficaci e verranno discusse in futuro).

Personalmente credo che questa divisione possa aver qualche utilità mnemonica, ma il succo è imparare le varie tecniche (che sono spesso una combinazione dei principi base) e sviscerarne le possibilità. Tipicamente, una tecnica di jujutsu può comprendere la neutralizzazione dell'attacco avversario tramite schivate, parate o spostamenti, il suo sbilanciamento e la sua proiezione o immobilizzazione il tutto condito da uno o più atemi.
L'approccio che seguirò sarà quello di illustrare, in un certo dettaglio, alcune delle tecniche basi più comuni alle varie scuole di jujutsu tradizionale.

Tutto e il contrario di tutto

Una ultima, essenziale nota sulle tecniche in generale riguarda le tecniche "omote" e "ura", ovvero "per dritto" e "per rovescio".

Con il termine "omote" (per dritto, verso l'esterno) si intende la tecnica nella sua esecuzione "normale". Lo svolgimento dell'azione è quello "pianificato" come tempi e come sequenza di movimenti.

In analogia con il principio taoista dello Yin-Yang, ovvero che ogni cosa contiene il suo contrario, molte tecniche prevedono una variante "ura" (per rovescio, verso l'interno) ovvero strategie, trucchi o tecniche interamente differenti da applicarsi nei casi in cui lo svolgimento dell'azione sia opposto a quello previsto dalla tecnica "omote".
Le tecniche "ura" rappresentano spesso il "negativo" delle tecniche "omote". Per comprendere appieno una tecnica è necessario conoscere i suoi aspetti "ura". Molte scuole ritengono che gli aspetti "ura" delle tecniche siano i più preziosi e li custodiscono gelosamente.
Per inciso con i due termini "omote" e "ura" si intendevano, nelle scuole antiche, anche gli insegnameti "espliciti" e quelli "segreti". Gli insegnamenti "omote" venivano rivelati a tutti gli studenti ed erano mostrati in pubblico. Le tecniche "omote" erano riservate agli iniziati e non venivano mostrati in pubblico.

Questo principio verrà illustrato meglio con degli esempi in futuro.

venerdì 13 agosto 2010

Giugissu Zeneize (Maledizione del Metodo Bianchi)

Una "doppietta" (ovvero la tecnica 12A se non ricordo male) - una sorta di doppio calcio volante che è una delle principali tecniche "volanti" del Metodo Bianchi. La tecnica appare più mutuata dal catch che da qualsivoglia stile di jujutsu giapponese, in cui non esistono tecniche simili. Notare i dogi con la "Saetta Rossa" (foto da Google).

Da bambino fino agli ultimi anni del liceo ho praticato il cosiddetto "ju-jitsu Metodo Bianchi", sotto la guida del Maestro Pagano presso la società Saetta Rossa a Nervi (non cercatela - non esiste più da molto tempo). Mi divertii molto per i primi anni, sebbene tornassi spesso a casa con qualche livido o escoriazione, il che, ovviamente, preoccupava mia madre. Poi finii per annoiarmi: conoscevo i "settori" a menadito ma nonostante l'impegno non progredivo di una virgola - e man mano che proseguivo nello studio delle arti marziali, i limiti del "Metodo Bianchi" mi apparivano sempre più evidenti - e gli errori di impostazione grossolani.
Ma andiamo per ordine. Per "Metodo Bianchi" si intende un metodo di insegnamento del ju-jitsu che ebbe una vastissima diffusione in Italia (e in special modo in Liguria) e che si rifà agli insegnamenti del Maestro Gino Bianchi, riordinati poi dal Maestro Rinaldo Orlandi (di fatto, il suo vecchio libro "Jujitsu Moderno" è stato a lungo considerato la Bibbia del Metodo Bianchi).
Il Maestro Bianchi, marinaio genovese, imparò le arti marziali nipponiche durante un viaggio in estremo oriente (mi risulta a Tianjin, ai tempi una sorta di porto franco vicino a Pechino - città che peraltro ho visitato per lavoro). Più esattamente "imparò qualcosa" delle arti marziali orientali (che certamente non si imparano nel tempo di qualche anno). Curioso il fatto che il jujutsu sia nipponico e Tianjin sia in Cina - ma il fatto non stupisce più di tanto, considerata la presenza nipponica nel Catai dei tempi. Questo "qualcosa" fu poi, a mio giudizio (ma anche secondo quello di alcuni allievi diretti con cui parlai da ragazzino), mescolato con elementi di lotta libera, judo, catch e savate (che a Genova era piuttosto diffuso).
Ne venne fuori un groviglio di numerose tecniche - talvolta più o meno simili a quelle nipponiche, talaltra meri esercizi da saltimbanchi - e in qualche caso vere e proprie assurdità marziali. Queste vennero ordinate e raggruppate nei cosiddetti "settori": cinque gruppi di tecniche (identificate da una lettera) costituite da venti tecniche ciascuna, generalmente in ordine crescente di difficoltà.
Per esempio, il 16A (ovvero sedicesima tecnica di "prevalentemente basata su sbilanciamento") corrispondeva grossomodo ad un Kotegaeshi. L'1B (prima tecnica di "sollevamento") era una sorta di Seoinage/kataotoshi. E ho citato due esempi riconducibili a tecniche giapponesi. Altri, come il 12A della foto, col jujutsu propriamente detto non hanno nulla a che fare.
Oltre alla pratica dei settori (praticamente i kata) il metodo consisteva anche in:
  • Agonistica - una peculiare forma di randori, in cui non si applicavano molte delle limitazioni del judo (ma era comunque proibito colpire) il cui scopo era quello di proiettare a terra l'avversario e poi immobilizzarlo (o costringerlo alla resa per leva articolare o strangolamento). Curiosamente, a differenza del judo, la presa iniziale veniva imposta (una mano al bavero e una al gomito). Nell'allenamento la parte "in piedi" e "a terra" venivano spesso tenute separate. Non essendo supportata da un valido bagaglio tecnico la parte in piedi era piuttosto statica e povera. La parte da terra, priva di alcune delle limitazioni del judo, e forte dell'entusiasmo agonistico, era forse una delle poche cose da salvare del metodo. Credo che ancora oggi si organizzino gare di questa bizzarra specialità tipicamente italiana - anche se il successo del "fighting system" ne sta decretando la sparizione.
  • Accademia - un'altra bizzarria italiana. Due atleti, di concerto, si alternano nei ruoli di Tori e Uke e effettuano una serie di tecniche, spesse volte rapidissime a acrobatiche. Nelle competizioni c'è un limite di tempo. Dato che il punteggio dipende anche dal numero di tecniche e dalla loro spettacolarità, queste sono rapidissime e spesse volte "volanti" (ovvero Tori si stacca da terra durante l'esecuzione). E' una disciplina che richiede un buon atletismo, doti acrobatiche e un discreto impegno. Ma, con gli occhi del bujutsu giapponese, è poco più che un esercizio da saltimbanchi - le cui tecniche sono spesse volte impossibili da realizzare nella realtà - o completamente folli. Anche questa specialità, incredibile dictu, sopravvive ancora oggi.
  • Autodifesa - Con questo termine generico si intendevano tutti gli esercizi Tori-Uke che non ricadevano nei settori. Esistevano anche delle gare, ma senza regolamenti chiari, che al giorno d'oggi sono conferite nel "Duo Games" disciplina che ha un certo successo anche internazionale.
Oltre a questi metodi di allenamento, vi erano sporadici inserti di karate (di bassissimo livello) di aikido (idem) e saltuari esercizi estemporanei come il "bakedo" (coi bastoni - in giapponese non significa nulla...ma secondo alcuni si trattava di "Baccheè do", ovvero il genovese per "dispenso bastonate...). Con gli occhi di oggi, mi sembra tutto assurdo.
Se non si è capito, disapprovo il metodo Bianchi praticamente in ogni sua parte. E' quasi tutto da buttare: dai fondamentali (le tecniche di parata ridicole, gli spostamenti assurdi, le cadute "simmetriche" etc.) alle tecniche vere e proprie (basti vedere il seoinage come eseguito nel metodo Bianchi e come viene invece eseguito nelle tecniche giapponesi per accorgersi dell'abissale differenza). Le cose da salvare? Forse la lotta a terra (se non altro nella palestra che frequentavo) e poco altro.
Intendiamoci: sono grato al metodo Bianchi, ai Maestri Bianchi, Orlandi e Pagano perchè grazie a loro e al loro lavoro mi sono appassionato alle arti marziali. E senza di loro, in Italia, il jujitsu non avrebbe avuto la diffusione che ha attualmente. Rimane il fatto che il metodo Bianchi (come del resto altri metodi similari fioriti in giro per il mondo) non ha nulla a che vedere col jujutsu giapponese. Ed è anzi una pratica perniciosa per chi vuole apprendere le arti marziali, giacchè molti dei suoi principi, pur sotto una apparente scientificità, sono sbagliati.
In parole povere, se praticate il metodo Bianchi vi invito ad informarvi, anche solo cercando su youtube, sulle tecniche del jujutsu nipponico. Una analisi oggettiva e sincera dovrebbe dirvi molte cose. Se invece pensate di avvicinarvi al jujutsu, o avete un figlio/nipote/parente che lo vorrebbe imparare, informatevi su quale metodo segue la palestra a cui vi rivolgete. Per quanto mi riguarda, sconsiglio caldamente la pratica di tale metodo.

giovedì 8 luglio 2010

Le parole sono importanti (ma non troppo)!

Gli ideogrammi "JU" (cedevole/morbido) e "JUTSU" (tecnica)

Un errore che ho fatto spesso, nello studio delle arti marziali, è quello di dare troppa importanza agli aspetti teorici. Come prodotto di una cultura diversa, vasta e interessante, lo studio delle arti marziali giapponesi offre moltissimi spunti a le persone che, come me, amano leggere e documentarsi. Il che, in se, non è un male. Anzi, forse è un approccio necessario per noi occidentali, abituati ad una cultura del "sapere" piuttosto che del "saper fare". Però non bisogna mai dimenticare che il cuore delle arti marziali è la pratica. La pratica è l'unica cosa che conta, ed è solo attraverso la pratica che si migliora - e non attraverso i libri (o i siti web).
Detto questo, da buon occidentale, penso che valga comunque la pena soffermarsi brevemente sulle parole - se non altro perchè molti termini non sono nella nostra lingua...e una traduzione sbagliata può portare a marchiani errori. Iniziamo dal nome.

Senza zuccheri aggiunti

Attualmente il termine JU-JUTSU (talvolta trascritto come JIU-JITSU, JU-JITSU...e chi più ne ha più ne metta) ha un significato talmente vago e indistinto che è difficile darne una interpretazione corretta e completa, a meno di includere anche scuole e tecniche che col jujutsu non hanno davvero nulla a che fare.
Limitandoci ad una traduzione, JU significa "morbido, cedevole, soffice" mentre "JUTSU" significa "tecnica, arte/scienza (nel senso di saper fare qualcosa)". Quindi Jujutsu suona più o meno come "tecnica cedevole". Quando ero bambino, la traduzione che andava per la maggiore era "Dolce Arte". Piaceva parecchio perchè evocava un senso di creativa non-violenza, che era evidentemente in linea con lo spirito del tempo - dopotutto gli anni sessanta non erano poi così lontani. Per non parlare del mito che "l'avversario veniva sconfitto con la sua stessa forza"... il che è vero solo in parte.
In realtà, come vedremo, il jujutsu era un'arte (se vogliamo usare questo termine) violenta e assai poco creativa.
Rimandando i dettagli tecnici a post futuri, il jujutsu si sviluppò come una delle tecniche del bujutsu (lett."tecniche di guerra") e come tale, almeno nelle versioni più antiche, non vi era rispetto o considerazione alcuna per l'incolumità dell'avversario. Lo scopo era vincere e non contava nient'altro. E' importante ricordarlo.
Gli aspetti spirituali, morali e creativi del jujutsu sono, nei casi migliori, "effetti collaterali" positivi - e pretestuose "invenzioni" moderne in quelli peggiori.


Sane tradizioni (ma troppo violente)

Se vogliamo provare a dare un significato al termine "jujutsu", invece, dobbiamo distinguere ciò il termine indicava in Giappone da quello che indica adesso nel mondo.
In giappone, nei secoli scorsi (e in qualche caso anche ai giorni nostri), il termine "jujutsu" indica le tecniche "disarmate" (o con uso occasionale di armi corte) delle scuole di arti marziali tradizionali ("koryu bujutsu" ovvero tecniche di guerra antiche).
Si trattava quindi di un insieme di tecniche e strategie da adottarsi nel caso in cui il samurai fosse impossibilitato ad utilizzare la spada. Va da se che il jujutsu (chiamato talvolta con altri nomi - come ad esempio tai-jutsu ovvero"tecnica del corpo") era considerata un'arte secondaria rispetto al kenjutsu ("tecnica della spada").
Il rapporto fra kenjutsu e jujutsu tradizionale è molto stretto - al punto che gli scopi, le tecniche e le strategie di movimento sono assai simili. Molte tecniche di jujutsu assumono un pieno significato solo se si immagina che l'avversario possa estrarre una spada. Il che, ovviamente, le rende anacronistiche.
Talvolta si usa il termine koryu jujutsu (jujutsu "antico") per distinguere questo "tipo" di jujutsu (e le scuole o "ryu" che lo praticano) dalle varianti moderne - che spesso hanno poco di giapponese, e ancor meno di tradizionale.
Fra i koryu jujutsu ricordiamo, ad esempio: Kito Ryu, Takenouchi Ryu, Tenshin Shin'yo Ryu,Yoshin Ryu, Daito Ryu (nota:Yoshin Ryu e Daito Ryu, in realtà, sono nomi comuni a numerose scuole - alcune delle quali hanno legami piuttosto labili con le scuole tradizionali).
La mia opione è che una pratica del jujutsu completamente fedele alla tradizione sia anacronistica e poco salutare: non è tempo di guerra e anche se lo fosse la gente non girerebbe con una katana. E' necessario eliminare dalla pratica tutte le tradizioni nocive alla salute e potenzialmente rischiose per l'incolumità dei praticanti. Non siamo nel giappone feudale. Non siamo samurai. Le arti marziali, in ultima analisi, per noi sono un passatempo e nulla più (e sfido chiunque a dimostrarmi il contrario).
Tuttavia, è nel jujutsu tradizionale che troviamo le tecniche più efficaci. L'efficacia della tecnica è necessaria per la pratica corretta delle arti marziali.
Due esempi di tecniche di jujutsu dalla antica scuola Kito Ryu - peraltro si tratta di tecniche che ritroviamo, con minime modifiche anche in molte altre scuole del jujutsu tradizionale (e anche in molte scuole moderne).

Tempi Moderni
Il jujutsu tradizionale era già anacronistico verso la fine del diciannovesimo secolo. In un Giappone che si stava rapidamente occidentalizzando, i giovani non erano particolarlmente attratti dalle arti tradizionali e,di contro, per attirare gli allievi molte scuole proponevano tecniche sempre più spettacolari e sempre meno efficaci. In questo contesto, e in parte per correggere queste tendenze, Jigoro Kano codificò il Kodokan Judo - che, pur attingendo a piene mani dal jujutsu tradizionale, si presentava come un metodo razionale e moderno. Il judo si diffuse in maniera rapida, e il jujutsu ne seguì faticosamente le orme, spesso come insegnamento supplementare riducendosi al lumicino, come disciplina a se stante,già intorno agli anni venti del ventesimo secolo.
Tra le due guerre, tuttavia, il jujutsu riguadagnò progressivamente popolarità in patria -per motivi nazionalistici- e riprese ad essere conosciuto all'estero - a causa degli scambi commerciali e, nel caso di Italia e Germania, anche per le alleanze militari. Nel secondo dopoguerra, anche per l'assenza di un metodo unico e di un caposcuola, iniziarono ad apparire metodi "moderni" di jujutsu, promossi da maestri più o meno qualificati, e talvolta improvvisati. Negli anni Sessanta e Settanta, l'interesse occidentale per le discipline orientali crebbe notevolmente - in un primo tempo per un generale interesse dei giovani verso le discipline più esotiche, e in un secondo tempo anche sulla scorta dei film di arti marziali - che ebbero negli anni settanta il periodo di maggiore popolarità.
Negli ultimi venti-trenta anni, invece, abbiamo assistito a tre tendenze principali:
  • la prima è un apprezzabile tentativo di alcuni maestri di riavvicinarsi agli stili antichi. Questo sforzo, ai giorni nostri, è enormemente facilitato da strumenti come internet e youtube
  • la seconda è il tentativo, da parte di altri maestri, di sincretizzare nel jujutsu elementi del karate, del judo e dell'aikido. Di fatto, alcune scuole attuali poco o nulla hanno a che vedere col jujutsu vero e proprio e sono una "somma" (un po' forzata e talvolta disarmonica) delle tecniche di queste arti marziali
  • la terza, e più perniciosa, è quella di concentrarsi su aspetti sportivo-agonistici, creando regolamenti di gara riconosciuti internazionalmente e che hanno anche portato all'organizzazione di campionati del mondo. Inutile dire che queste interpretazioni sportive, col jujutsu, non c'entrano proprio nulla.
Tre atleti di "sport jujutsu". Keikogi con strisce e patacche colorate, trofei, pose da pugili minacciose. Se non vi riesce di trovare il collegamento con l'immagine di sopra...è perchè non c'è. Lo "sport jujutsu" come molti derivati moderni, condivide con la tradizione marziale nipponica solo il nome, o poco più.


Riassumendo
Riassumendo, col tempo, il termine jujutsu non ha più un significato definito. Quanto ho scritto sopra non è che una enorme semplificazione della complessa e travagliata storia di questa disciplina, se ancora di disciplina si può parlare. Con una ulteriore semplificazione, potremmo fotografare la situazione attuale dividendo la pratica e le scuole di jujutsu in:
  • Koryu Jujutsu (jujutsu antico): ovvero le scuole che si attengono scrupolosamente alla tradizione e ne perpetuano fedelmente gli insegnamenti e i kata.
  • Gendai Jujutsu (jujutsu moderno): ovvero scuole fondate da maestri giapponesi, in patria o all'estero, che si fondano sulle scuole tradizionali ma presentano metodi di insegnamento più moderni, avendo eliminato alcune delle tecniche più arcaiche.
  • Goshin Jujutsu (jujutsu autodifesa): ovvero gli stili che riprendono i principi del jujutsu tradizionale, con cui hanno deboli legami di discendenza, focalizzandosi sull'autodifesa. Alcuni di questi metodi, a rigore, potrebbero cadere nel gruppo successivo, ma distinguo con questa etichetta quelle scuole la cui impronta è ancora riconoscibilmente nipponica.
  • Stili di Jujutsu "occidentale": ovvero tutte le scuole e gli stili che praticamente non hanno legami col jujutsu giapponese - e in taluni casi mai li hanno avuti. Ci sono letteralmente dozzine di approcci: dall'italico "Metodo Bianchi", al German Jujutsu, passando dal metodo Clarke a quelli del Nord Europa. Una certa popolarità la ha anche il "Brazilian Jujutsu", o metodo Gracie, che in realtà è più una variante del judo. Questo metodo è diventato popolare per essere stato adottato da alcuni alteti del mondo delle Mixed Martial Arts. In questo caso, come in altri, parlare di jujutsu è un po' difficile.
  • Sport jujutsu: ovvero la versione sportiva. C'è un certo consenso internazionale su due regolamenti di gara: il "duo games" e il "fighting system". Il primo non è che una sorta di messinscena di tecniche di autodifesa che vengono valutate a punti (tipo ginnastica artistica) - per quanto gli atleti siano spesso bravi e veloci, molte delle tecniche proposte sono ben distanti dai principi del jujutsu. Il secondo è una sorta di sistema ad incontri che è un mix fra il kumite del karate e un incontro di judo (sostanzialmente si procede come nel karate finche non viene stabilita una presa "solida", dopodichè l'incontro procede come nel judo). L'approccio potrebbe anche essere interessante sulla carta...ma di nuovo le tecniche e le strategie sono ben lontane da quello che possiamo chiamare jujutsu.
I primi due "gruppi" vanno talvolta sotto il nome di "Nihon jujutsu" - ovvero jujutsu giapponese propriamente detto. Per oggi mi fermo qua. Ma il discorso sarebbe assai più ampio.

martedì 1 giugno 2010

Lei non sa chi sono io!

Io sono Dino Cattaneo. Ho 36 anni e sono nato a Genova, dove vivo e lavoro.

Questo blog lo scrivo in primo luogo per me stesso. Lo scopo è quello di fare il punto, e trarre qualche conclusione, sul mio studio delle arti marziali giapponesi in generale, e del jujutsu in particolare, discipline di cui mi interesso da almeno venticinque anni.

Iniziamo dall'inzio....e quindi da un minimo di "autobiografia".
Cominciai a praticare il ju-jitsu "Metodo Bianchi" alle scuole elementari presso la palestra "Saetta Rossa" a Nervi, sotto la guida del Maestro Emilio Pagano che era anche il dottore di famiglia.
Sui pochi meriti e sui molti demeriti del "Metodo Bianchi" mi soffermerò altrove.
Dopo un anno o due, conquistata l'agognata cintura gialla, smisi di frequentare la palestra perchè si soleva finire la lezione con una serie di capriole che mi provocavano la nausea.
Come quasi ogni bambino italiano mi dedicai per un paio di anni al calcio nel San Pietro Quinto-Nervi... ma la mia proverbiale goffaggine con la palla e la mia introversione non ne fecero un esperienza felice.
Alle scuole medie, in prima o in seconda, decisi di tornare alla arti marziali...e la suddetta cintura gialla mi spinse a tornare alla Saetta Rossa, che frequentai assiduamente fino alla quarta Liceo.
Durante la quinta Liceo (1991) il Metodo Bianchi mi era venuto a noia. Conoscevo a menadito "i settori" e li eseguivo decentemente. Non riuscivo ad eseguire alcune tecniche come il maestro, ma non capivo il perchè...comunque non miglioravo e non imparavo cose nuove. Per inciso credo che molti praticanti e varie società ed associazioni iniziassero ad avvertire l'inadeguatezza del "Metodo Bianchi" e da più parti si proponevano metodi diversi di allenamento e di studio - a cui il Maestro Pagano si opponeva decisamente.
La "Saetta Rossa" quell'anno chiuse definitivamente la propria attività - se non ricordo male, il motivo fu che i proprietari dei locali non ne rinnovarno la disponibilità. Se non ho sbagliato i conti era il 1992.

Qualche tempo dopo,venni a sapere che Marco Penco e Luca Ferrari, due Cinture Nere della Saetta Rossa e tra i migliori allievi del maestro Pagano, avevano aperto una nuova palestra vicino a casa mia. Si trattava della associazione Shinden-Kai, che, inizialmente, si trovava presso la Palestra di Nervi.
Rimasi molto colpito dallo spirito di ricerca presente alla Shinden-Kai. Si spaziava dal aikido al karate, tendando di ripulire la pratica dai marchiani errori del Metodo Bianchi e dal suo goffo bagaglio tecnico.
Grazie a Luca e a Marco e al loro lavoro di ricerca, imparai molte cose e, credo, migliorai decisamente la mia tecnica. Presi anche la Cintura Nera con l'Associazione Italiana Ju-Jitsu (A.I.J.J.), peraltro grazie ad un esame-farsa che meriterebbe qualche riga e che ricordo ancora con un certo disgusto. Era, se non ricordo male il 1993 e quello fu l'unico esame "federale" che feci nella mia vita. Pur avendolo passato a pieni voti, ne ho un ricordo talmente negativo che da allora ho sempre disprezzato le federazioni di arti marziali, in maniera talvolta ingiusta e andando oltre i loro demeriti.

Fu, credo, il mio conseguimento della Cintura Nera a far decidere a Luca e Marco di eliminare le cinture "colorate" alla Shinden Kai ed cancellare di fatto gradi ed esami. Tutti con la cintura bianca...ed era giusto così.Quell'anno, per me, fu uno dei più duri e problematici - e non era per la questione cintura (che ci crediate o meno non volevo nemmeno indossarla, tanto squallido mi era sembrato l'esame), ma quanto per il fatto che fui invitato da Luca e Marco a farmi un esame di coscienza ed, eventualmente, allontarnarmi dalla Shinden Kai.
Mi si disse che che alcuni allievi si erano lamentati dell'eccessiva violenza delle mie tecniche, e si attribuiva alla mia presenza ed ai miei metodi il fatto che altri allievi si fossero ritirati dalla pratica. Inoltre mi si accusò di non essere socievole nei confronti degli altri allievi. Cose che, inutile dire, io non avevo minimamente sospettato prima. Mi vergognai come un cane, perchè ho sempre attribuito grande peso alle critiche e perchè comprendevo i motivi del giudizio negativo che veniva espresso nei miei confronti. Reagii come pensavo fosse meglio, ovvero impegnandomi per migliorare. Non so quanto e se i miei sforzi fossero stati apprezzati o meno, ma feci quello che potevo per togliermi l'etichetta di allievo violento ed asociale.

In quegli anni, Marco e Luca frequentavano anche la palestra di Roberto Amici e ne seguivano gli insegnamenti. Frequentai anche io, per circa due anni, la palestra di Roberto e ne fui molto colpito per la conoscenza di Karate ed Aikido, di cui praticava un interessante metodo sincretico piuttosto efficace. Tuttavia ero in forte disaccordo con gli aspetti più esoterici del suo metodo, che sfociava spesso nell'ambito religioso - ai confini del settarismo. Per non parlare poi di intere lezioni, a mio avviso assurde, sulla percezione del ki e dell'energia - ricordo ad esempio un'intera sessione di kumite "bendati" che varcò i confini nel ridicolo.

Frequentai la Shinden-kai praticamente fino alla sua dissoluzione ovvero quando Luca e Marco presero strade separate, per motivi che non conosco - che avvenne, se non ricodo male, poco prima che mi laureassi, ovvero nel 1999.

Dopo la laurea ed il militare, nel 2001, mi spostai a Torino per lavoro. Onestamente non avevo più voglia di frequentare una palestra, tanto più che mi era chiaro che certi situazioni negative (direi quasi psicopatologiche), sebbene presenti bene o male in ogni associazione sportiva, nei club di arti marziali arrivano spesso a livelli veramente perniciosi e, per me, insopportabili. Frequentai alcuni stage di arti marziali ma principalmente mi dedicai allo studio dei kata del karate, con qualche iniezione di Shaolin ed arti cinesi che vedevo praticare durante i miei viaggi lavorativi in Cina.

Nel 2006 tornai a Genova... dove le cose non cambiarono. Mi bastò frequentare qualche stage e vedere qualche dimostrazione per accorgermi che la vita da palestra non faceva più per me e continuai la mia pratica di studioso autodidatta...attività che in teoria continuo tutt'ora, ma per cui ho sempre meno tempo.

Spero che questo blog, oltre che ad essere d'aiuto a me per organizzare le mie conoscienze, possa essere uno spunto di riflessione anche per chi pratica le arti marziali o ne è interessato.